In data 21 settembre 2007 si è tenuta presso la Sala convegni dell'APT di Marina di Massa una giornata studio sull' ordinanza della Corte di Cassazione I° sezione civile n. 8362 del 22 marzo / 3 aprile 2007, con la quale la Suprema Corte ha introdotto una significativa innovazione nella sfera di competenze del Tribunale dei Minorenni per le questioni relative all'affidamento e al mantenimento dei figli naturali, ossia i figli nati da genitori non coniugati.
Premessa
L'ordinanza in esame trae origine da un conflitto di competenza sorto tra il Tribunale dei Minori e il Tribunale Ordinario di Milano, il quale ultimo ha poi sollevato d'ufficio davanti alla Corte di Cassazione regolamento di competenza al fine di risolvere la questione.
Si rende necessario illustrare brevemente la vicenda giudiziaria che ha poi reso necessario l'intervento della Suprema Corte.
Nel corso di un giudizio davanti al Tribunale dei Minori di Milano, la sig.ra X, che per anni ha convissuto more uxorio con il sig. Y con il quale ha avuto un figlio, chiede al Tribunale l'affidamento del minore e la condanna dell'ex convivente alla corresponsione in favore del figlio di un assegno di mantenimento.
Il Tribunale dei Minori si dichiara incompetente a decidere sul punto, con la motivazione che la recente Legge 08/02/2006 n. 54 (recante le nuove disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) ha di fatto modificato la sfera di competenze del Tribunale dei Minori per tutto ciò che concerne l'affidamento, l'esercizio della potestà e il mantenimento dei figli naturali, individuando nel Tribunale Ordinario il giudice competente a decidere su tali questioni.
Il ragionamento, per il Tribunale dei Minori, è semplice: dal momento che l'art. 4 della legge n. 54 al secondo comma prevede "l'applicazione ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati delle disposizioni della presente legge", esso includerebbe anche le norme processuali, incompatibili però con il procedimento in camera di consiglio, proprio del Tribunale dei Minori; la nuova normativa, abrogando di fatto l'art. 317 bis c.c., (che rimane in vigore per le altre questioni) ha introdotto, secondo tale impostazione, una disciplina unitaria in materia di filiazione naturale sia sotto il profilo sostanziale che processuale, con la conseguenza che competente a decidere su tutte le questioni riguardanti i figli di genitori non coniugati è, come per i figli di genitori coniugati, il Tribunale Ordinario.
Di contro, il Tribunale ordinario di Milano si dichiara a sua volta incompetente, seguendo un ragionamento opposto a quello del Tribunale dei minori.
Per il Tribunale ordinario la nuova legge non ha assolutamente modificato la competenza del Tribunale dei minori in ordine alle controversie relative all'affidamento dei figli naturali, ma ha semplicemente arricchito la portata sostanziale dell' art. 317 bis, estendendo i principi espressi nell' art. 155 c.c. novellato, al procedimento minorile: in altre parole, il giudice minorile, nelle controversie riguardanti l'affidamento dei figli naturali di coppie di fatto, non avrà più massima discrezionalità, ma dovrà tener conto dei criteri e dei principi di cui agli artt. 155 e seguenti, nell'interesse primario dei minori.
Per converso, per le questioni concernenti il mantenimento dei figli di genitori non coniugati, rimane competente il Tribunale ordinario, che provvederà a norma dell' art. 148 c.c..
Praticamente, per i giudici di Milano, rimane fermo il binomio Tribunale dei Minori/Tribunale ordinario.
In tale contesto si inserisce la ordinanza in esame della Corte di Cassazione, la quale segue una impostazione completamente diversa.
La Suprema Corte, riprendendo il ragionamento del Tribunale ordinario di Milano, ritiene che la nuova legge, lungi dall'abrogare l'art. 317 bis c.c. (e di conseguenza l'art. 38 disp.att.), ne abbia rinnovato il contenuto, nel senso che il giudice minorile, investito di una questione concernente l'affidamento di un figlio di genitori non coniugati, dovrà, se possibile, applicare i dettami dell' art. 155 c.c e segg. che privilegiano l'affidamento condiviso, la bigenitorialità ecc. Per quanto concerne, invece, le questioni economiche (attinenti al mantenimento dei figli naturali), la Corte di discosta sia dalle conclusioni espresse dal Tribunale dei minori che da quelle del Tribunale ordinario, e segue un ragionamento tutto particolare.
Stabilito che per i procedimenti riguardanti l'affidamento del figlio naturale è rimasta la competenza del Tribunale dei Minori, la Cassazione assume come criterio risolutivo quello del simultaneo processo, precisando che quando vi è contestualità della domanda relativa all'affidamento con quella di natura patrimoniale, il giudice competente per entrambe diventa, per attrazione, il Tribunale dei Minori.
A tale determinazione la Corte perviene partendo proprio da un dato testuale: infatti l' art. 155 c.c. al secondo comma, stabilisce che "il giudice che provvede sull'affidamento dei figli minori determina altresì la misura….del mantenimento".
Praticamente, secondo il ragionamento della Corte, la riforma ha introdotto la regola della inscindibilità della valutazione relativa all'affidamento da quella concernente i profili patrimoniali dell'affidamento stesso, con la conseguenza che il Tribunale dei Minori, investito della questione dell'affidamento di un figlio naturale, dovrà decidere, se richiesto, anche sull'aspetto economico.
A questo punto sorgono però problemi di carattere pratico, come ben evidenziato dai relatori del convegno.
1) In primo luogo, l'interpretazione della Corte non tiene conto di una difficoltà di carattere processuale: il procedimento davanti al Tribunale dei Minori, a differenza di quello per la separazione e divorzio, si caratterizza per non avere un rito particolare, rigorosamente disciplinato nelle forme e nei termini.
Infatti, l'art. 38 disp. att. si limita a richiamare il procedimento in camera di consiglio, ma non prevede affatto regole processuali certe per quanto attiene la costituzione delle parti, il deposito di memorie o di istanze istruttorie e cosi via, regole essenzialmente volte al rispetto del diritto di difesa e di contraddittorio. Sotto questo profilo, il tutto sarà rimesso alla prassi dei singoli Tribunali.
2) In secondo luogo, affermato il principio della contestualità delle domande, si possono verificare in concreto varie ipotesi, che meritano di essere menzionate.
Ad esempio: ipotizziamo che due genitori naturali non discutano, almeno inizialmente, dell'affidamento del figlio minore, ma litighino solo sulla misura del mantenimento.
Secondo la regola introdotta dalla Corte, trattandosi di questione limitata all'aspetto patrimoniale, uno dei due genitori ricorrerà davanti al Tribunale Ordinario ex art. 148 c.c..
Ma se il convenuto nel procedimento ex art. 148 c.c. decide, in via riconvenzionale, di mettere in discussione anche la questione dell'affidamento del figlio, cosa succede a livello processuale?
A questo punto, ricorrendo una ipotesi di contestualità di domande, il procedimento davanti al Tribunale Ordinario per determinare il mantenimento del minore dovrà essere interrotto e spostato davanti al Tribunale dei Minori, quale giudice funzionalmente competente a decidere le questioni "de potestate", e per attrazione, anche quelle di carattere economico. In questa maniera il convenuto potrà "bloccare" il procedimento, più veloce, instaurato ex art. 148 c.c., rinviando davanti al Tribunale dei minori anche la decisione sul mantenimento.
3) Un altro problema attiene al regime di revocabilità modificabilità del provvedimento adottato dal Tribunale dei Minori a conclusione di un giudizio promosso per entrambe le questioni (affidamento - mantenimento figli).
Il quesito che ci si pone è il seguente: se i genitori, successivamente alla decisione del Tribunale dei Minori, non mettono in discussione le determinazioni riguardanti l'affidamento della prole, ma contestano invece solo quelle di carattere economico, chi sarà il giudice competente a modificare tali statuizioni, il Tribunale dei Minori o il Tribunale Ordinario (trattandosi di questioni esclusivamente patrimoniali), ed in quest'ultimo caso, come si può ipotizzare che il secondo vada a incidere su provvedimenti adottati dal primo?
A tale quesito non è stata ancora fornita una soluzione univoca ed anche in questo caso alla carenza legislativa sopperirà la prassi dei vari tribunali.
Comunque, al di là dell'indubbio interesse che la presente ordinanza ha sollevato tra gli operatori del diritto, non si può non evidenziare un dato positivo che emerge dalla stessa: essa consente ai genitori naturali in crisi di poter rivolgere le proprie istanze ad un unico Giudice allorché sorgano problemi sia per l'affidamento che per il mantenimento dei figli minori, mentre prima erano costretti a adire più giudici, con inevitabili dilatazioni di tempi e di costi.